Morta Margaret Thatcher. La battaglia contro i minatori e il paragone con l’Italia

Margaret Thatcher

Amici, la morte di TINA (“there is no alternative”) e i fiumi d’inchiostro che continuano a inondare gli organi di stampa per raccontarne le gesta, sortiscono spunti di riflessione interessantissimi. Tra tutti, uno in particolare mi pare concettualmente riferibile alla “causa italiana”, seppur in una formula metaforica.

Si tratta della battaglia vittoriosa che la Lady di Ferro condusse contro i minatori e i loro sindacati impegnati nello sciopero più drammatico della storia moderna britannica: la chiusura delle miniere di carbone.

Quanto segue è una breve digressione storica per collocarci in quegli anni, riportarli ai giorni nostri e riflettere sulla nostra situazione…

L’opera thatcheriana aveva il fine esplicito di modernizzare l’assetto industriale ed energetico del paese e mettere fine all’egemonia dei sindacati minatori. 
La guerra sul futuro dell’industria del carbone iniziò alla mezzanotte del 5 marzo del 1984: uno scontro aspro e lacerante, con forti ripercussioni internazionali, che sarebbe durato fino al 1985, con la resa incondizionata del sindacato. Da quella sconfitta iniziò l’era del liberismo sfrenato in Gran Bretagna, un modello che ha generato ricchezza e disparità sociale, mantenuto anche nell’era del New Labour di Tony Blair, fino all’esplosione della crisi economica ancora in corso.
Tutto cominciò nel marzo 1984 quando l’ente minerario nazionale, la National Coal Board (Ncb), annunciò un piano di chiusura dei pozzi che implicava la riduzione della produzione di 4 milioni di tonnellate e la perdita di 20.000 posti di lavoro. Il primo pozzo destinato alla chiusura era quello di Cortonwood (South Yorkshire) e i primi a scendere in sciopero, alla mezzanotte del 5 marzo, furono gli uomini di quella miniera, seguiti nei giorni successivi dopo dai colleghi di tutti gli altri pozzi carboniferi dello Yorkshire, della Scozia, del Galles, del Nottinghamshire.
Si apriva un anno di lotte, violenze arresti, processi, picchetti duri ma anche di straordinaria solidarietà da tutto il Regno Unito e anche dall’estero.
La Thatcher non indietreggiò mai di fronte alla potente National Union of Mineworkers guidata da Arthur Scargill: nel 1984, in parlamento, pronunciava uno storico discorso in cui definiva i minatori sindacalizzati “il nemico interno” e affermava che mai la democrazia parlamentare si sarebbe piegata “al governo della folla”.
Lo sciopero coinvolse fino a 165.000 minatori, attirando attenzione e solidarietà da tutto il mondo. Dopo oltre 51 settimane di lotta, durante le quali tra i lavoratori si registrarono 710 licenziamenti e migliaia di procedimenti giudiziari, un congresso straordinario dell’Unione Nazionale dei Minatori votò a stretta maggioranza per la fine dello sciopero.
La Lady di Ferro, si è appreso in documenti emersi nel 2010, riuscì anche a convincere l’allora numero due dell’Urss Mikhail Gorbaciov a bloccare circa un milione di dollari donati da minatori sovietici ai compagni britannici in lotta. La guerra finì il 3 marzo 1985 con la sconfitta dei minatori e del loro principale sindacato, la Num (National Union of Mineworkers)
di Scargill, che non riuscirono a fermare il piano di chiusure e che ripresero il lavoro in attesa del loro turno di essere definitivamente mandati a casa.
Da allora il Regno Unito ha iniziato ad abbandonare rapidamente l’intera industria pesante e diminuito il suo utilizzo del carbone, che nel 1979, quando Margaret Thatcher andò al potere, era la fonte di energia principale del Paese. I minatori, che nel 1947, anno della nazionalizzazione dell’industria carbonifera, erano un milione, sono rimasti oggi in poche migliaia. Le miniere di carbone sono oggi meno di dieci e il carbone produce solo il 6% dell’energia nazionale.

L’Unione Nazionale dei minatori (NUM), lo statalismo che ne decideva le dinamiche, il settore del carbone decotto ma ostinatamente alimentato…

Assomigliano tanto alla nostra Italia (stato di polizia per certi aspetti e dittatoriale per altri) e ai tanti settori (quello dell’auto!) in punto di morte, nei quali si continua a credere.

L’unico e infinitesimale aspetto che manca da noi, è una Margaret Thatcher in grado di rivoluzionare una nazione… così, se proprio vogliamo essere zelanti…

…In compenso, però, abbiamo PD, PdL, Grillini… e chi più ne ha più ne metta.

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