Concorsi pubblici: l’utopia del merito

Articolo 97 della Costituzione Italiana :”Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”. La realtà, però, è molto dissimile da quella scritta su carta. Se almeno una volta nella vita abbiamo avuto modo di tentare un concorso pubblico o ne abbiamo appreso attraverso amici o parenti, ci siamo resi immediatamente conto che la vittoria non è direttamente proporzionale al merito. Parentele, amicizie e legami d’altro genere, infatti, rappresentano oggi dinamiche propedeutiche. Il caso classico è quello delle assunzioni per chiamata diretta nelle società controllate dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali.

Non è troppo lontano il ricordo legato allo scandalo delle municipalizzate romane, rimpinzate di raccomandati da politici e sindacalisti… Qualche anno fa si è poi scoperto che il Consiglio regionale della Campania aveva centinaia di dipendenti in pianta stabile senza avere mai indetto un concorso pubblico dal 1971, quando la Regione era nata. Assunti da società pubbliche, erano stati distaccati presso gli uffici consiliari e poi “stabilizzati” con qualche leggina regionale. Ma non stupitevi: la pratica della “stabilizzazione” per legge, spesso votata di notte pochi giorni prima delle elezioni, è ormai una regola a tutti gli effetti in quasi tutte le Regioni.

Parlando del Concorso in quanto tale, non passa giorno senza che arrivi la segnalazione di qualche presunto abuso nelle valutazioni, di regole studiate ad hoc per favorire questo o quel candidato, di esclusioni paradossali dalle selezioni pubbliche, di commissioni d’esame costruite in modo sospetto. Addirittura di ricorsi al Tar che inspiegabilmente si bloccano, mentre ricorsi gemelli procedono speditamente fino a spalancare a chi li ha presentati, di solito giovanotti dal nome eccellente, la strada di una prova d’appello spesso risolutiva. Certi concorsi pubblici assomigliano moltissimo a certi appalti pubblici nei quali si sa già in partenza chi sarà il vincitore.

Tali aberranti “regole” non regnano soltanto nel tessuto universitario. Sul  Sole 24 ore di martedì, Giuseppe Oddo ci ha raccontato di un concorso per dirigenti della Regione Lombardia “mai apparso in Gazzetta ufficiale”, vinto da 31 persone: molte delle quali, guarda caso, appartenenti al movimento di Comunione e liberazione «il cui esponente più noto», ha sottolineato il giornalista, «è il presidente della Regione Roberto Formigoni»: fra di loro anche il nipote di un vescovo e il biografo del fondatore di Cl don Alberto Giussani. Un concorso poi dichiarato illegittimo tanto dal Tar quanto dal Consiglio di Stato, ma grazie a un cavillo quei 31 restano al loro posto.

Per non parlare delle autorità indipendenti, oggi una delle poche occasioni che si offrono ai nostri giovani di entrare a far parte di una classe dirigente “tecnica” di livello europeo. Basta dare uno sguardo agli elenchi di chi ci lavora. Si scopriranno innumerevoli coincidenze con illustri cognomi. Naturalmente hanno tutti superato un concorso. Magari anche molto selettivo, ne siamo assolutamente convinti. Peccato che talvolta ci sia una discrezionalità forse eccessiva (e difficilmente controllabile) nel giudizio di certi requisiti. Facciamo un esempio? Per essere ammessi a un recente concorso bandito da un’authority si assegnavano fino a 14 punti su un massimo di 50 per le esperienze post laurea. In che modo? Quattro punti per le esperienze ritenute “sufficienti”, otto per quelle “buone”, dodici per le “ottime” e quattordici per le “eccellenti”. Ma perché un’esperienza dovesse essere considerata soltanto “sufficiente”, piuttosto che “eccellente”, non era specificato. Nello stesso concorso venivano attribuiti al massimo quattro punti su 50 per la conoscenza delle lingue. Così da non penalizzare chi non sapeva una parola d’inglese o spagnolo? 

L’Italia, un Paese che ha la meritocrazia scritta nella sua stessa Costituzione. Scritta, appunto…

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